martedì 29 settembre 2009


Quel sangue del Sud versato per il Paese

di Roberto Saviano

Vengo da una terra di reduci e combattenti. E l'ennesima strage di soldati non l'accolgo con la sorpresa di chi, davanti a una notizia particolarmente dolorosa e grave, torna a includere una terra lontana come l'Afghanistan nella propria geografia mentale. Per me quel territorio ha sempre fatto parte della mia geografia, geografia di luoghi dove non c'è pace. Gli italiani partiti per laggiù e quelli che restano in Sicilia, in Calabria o in Campania per me fanno in qualche modo parte di una mappa unica, diversa da quella che abbraccia pure Firenze, Torino o Bolzano. Dei ventun soldati italiani caduti in Afghanistan la parte maggiore sono meridionali. Meridionali arruolati nelle loro regioni d'origine, o trasferiti altrove o persino figli di meridionali emigrati. A chi in questi anni dal Nord Italia blaterava sul Sud come di un'appendice necrotizzata di cui liberarsi, oggi, nel silenzio che cade sulle città d'origine di questi uomini dilaniati dai Taliban, troverà quella risposta pesantissima che nessuna invocazione del valore nazionale è stato in grado di dargli. Oggi siamo dinanzi all'ennesimo tributo di sangue che le regioni meridionali, le regioni più povere d'Italia, versano all'intero paese. Indipendentemente da dove abitiamo, indipendente da come la pensiamo sulle missioni e sulla guerra, nel momento della tragedia non possiamo non considerare l'origine di questi soldati, la loro storia, porci la domanda perché a morire sono sempre o quasi sempre soldati del Sud. L'esercito oggi è fatto in gran parte da questi ragazzi, ragazzi giovani, giovanissimi in molti casi. Anche stavolta è così. Non può che essere così. E a sgoccioli, coi loro nomi diramati dal ministro della Difesa ne arriva la conferma ufficiale. Antonio Fortunato, trentacinque anni, tenente, nato a Lagonegro in Basilicata. Roberto Valente, trentasette anni, sergente maggiore, di Napoli. Davide Ricchiuto, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato a Glarus in Svizzera, ma residente a Tiggiano, in provincia di Lecce. Giandomenico Pistonami, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato ad Orvieto, ma residente a Lubriano in provincia di Viterbo. Massimiliano Randino, trentadue anni, caporalmaggiore, di Pagani, provincia di Salerno. Matteo Mureddu, ventisei anni, caporalmaggiore, di Solarussa, un paesino in provincia di Oristano, figlio di un allevatore di pecore. Due giorni fa Roberto Valente stava ancora a casa sua vicino allo stadio San Paolo, a Piedigrotta, a godersi le ultime ore di licenza con sua moglie e il suo bambino, come pure Massimiliano Radino, sposato da cinque anni, non ancora padre.
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Erano appena sbarcati a Kabul, appena saliti sulle auto blindate, quei grossi gipponi "Lince" che hanno fama di essere fra i più sicuri e resistenti, però non reggono alla combinazione di chi dispone di tanto danaro per imbottire un'auto di 150 chili di tritolo e di tanti uomini disposti a farsi esplodere. Andando addosso a un convoglio, aprendo un cratere lunare profondo un metro nella strada, sventrando case, macchine, accartocciando biciclette, uccidendo quindici civili afgani, ferendone un numero non ancora precisato di altri, una sessantina almeno, bambini e donne inclusi. E dilaniando, bruciando vivi, cuocendo nel loro involucro di metallo inutilmente rafforzato i nostri sei paracadutisti, due dei quali appena arrivati. Partiti dalla mia terra, sbarcati, sventrati sulla strada dell'aeroporto di Kabul, all'altezza di una rotonda intitolata alla memoria del comandante Ahmad Shah Massoud, il leone del Panjshir, il grande nemico dell'ultimo esercito che provò ad occupare quell'impervia terra di montagne, sopravvissuto alla guerra sovietica, ma assassinato dai Taliban. Niente può dirla meglio, la strana geografia dei territori di guerra in cui oggi ci siamo svegliati tutti per la deflagrazione di un'autobomba più potente delle altre, ma che giorno dopo giorno, quando non ce ne accorgiamo, continua a disegnare i suoi confini incerti, mobili, slabbrati. Non è solo la scia di sangue che unisce la mia terra a un luogo che dalle mie parti si sente nominare storpiato in Affanìstan, Afgrànistan, Afgà. E' anche altro. Quell'altro che era arrivato prima che dai paesini della Campania partissero i soldati: l'afgano, l'hashish migliore in assoluto che qui passava in lingotti e riempiva i garage ed è stato per anni il vero richiamo che attirava chiunque nelle piazze di spaccio locali. L'hashish e prima ancora l'eroina e oggi di nuovo l'eroina afgana. Quella che permette ai Taliban di abbondare con l'esplosivo da lanciare contro ai nostri soldati coi loro detonatori umani. E' anche questo che rende simili queste terre, che fa sembrare l'Afganistan una provincia dell'Italia meridionale. Qui come là i signori della guerra sono forti perché sono signori di altro, delle cose, della droga, del mercato che non conosce né confini né conflitti. Delle armi, del potere, delle vite che con quel che ne ricavano, riescono a comprare. L'eroina che gestiscono i Taliban è praticamente il 90% dell'eroina che si consuma nel mondo. I ragazzi che partono spesso da realtà devastate dai cartelli criminali hanno trovato la morte per mano di chi con quei cartelli criminali ci fa affari. L'eroina afgana inonda il mondo e finanzia la guerra dei Taliban. Questa è una delle verità che meno vengono dette in Italia. Le merci partono e arrivano, gli uomini invece partono sempre senza garanzia di tornare. Quegli uomini, quei ragazzi possono essere nati nella Svizzera tedesca o trasferiti in Toscana, ma il loro baricentro rimane al paese di cui sono originari. È a partire da quei paesini che matura la decisione di andarsene, di arruolarsi, di partire volontari. Per sfuggire alla noia delle serate sempre uguali, sempre le stesse facce, sempre lo stesso bar di cui conosci persino la seduta delle sedie usurate. Per avere uno stipendio decente con cui mettere su famiglia, sostenere un mutuo per la casa, pagarsi un matrimonio come si deve, come aveva già organizzato prima di essere dilaniato in un convoglio simile a quello odierno, Vincenzo Cardella, di San Prisco, pugile dilettante alla stessa palestra di Marcianise che ha appena ricevuto il titolo mondiale dei pesi leggeri grazie a Mirko Valentino. Anche lui uno dei ragazzi della mia terra arruolati: nella polizia, non nell'esercito. Arruolarsi, anche, per non dover partire verso il Nord, alla ricerca di un lavoro forse meno stabile, dove sono meno certe le licenze e quindi i ritorni a casa, dove la solitudine è maggiore che fra i compagni, ragazzi dello stesso paese, della stessa regione, della stessa parte d'Italia. E poi anche per il rifiuto di finire nell'altro esercito, quello della camorra e delle altre organizzazioni criminali, quello che si gonfia e si ingrossa dei ragazzi che non vogliono finire lontani. E sembra strano, ma per questi ragazzi morti oggi come per molti di quelli caduti negli anni precedenti, fare il soldato sembra una decisione dettata al tempo stesso da un buon senso che rasenta la saggezza perché comunque il calcolo fra rischi e benefici sembra vantaggioso, e dalla voglia di misurarsi, di dimostrare il proprio valore e il proprio coraggio. Di dimostrare, loro cresciuti fra la noia e la guerra che passa o può passare davanti al loro bar abituale fra le strade dei loro paesini addormentati, che "un'altra guerra è possibile". Che combattere con una divisa per una guerra lontana può avere molta più dignità che lamentarsi della disoccupazione quasi fosse una sventura naturale e del mondo che non gira come dovrebbe, come di una condizione immutabile. Sapendo che i molti italiani che li chiameranno invasori e assassini, ma pure gli altri che li chiameranno eroi, non hanno entrambi idea di che cosa significhi davvero fare il mestiere del soldato. E sapendo pure che, se entrambi non ne hanno idea e non avrebbero mai potuto intraprendere la stessa strada, è perché qualcuno gliene ne ha regalate di molto più comode, certo non al rischio di finire sventrati da un'autobomba. Infatti loro, le destinazioni per cui partono, non le chiamano "missione di pace". Forse non lo sanno sino in fondo che nelle caserme dell'Afghanistan possono trovare la stessa noia o la stessa morte che a casa. Ma scelgono di arruolarsi nell'esercito che porta la bandiera di uno Stato, in una forza che non dispone della vita e della morte grazie al denaro dei signori della guerra e della droga. Per questo, mi augurerei che anche chi odia la guerra e ritiene ipocrita la sua ridefinizione in "missione di pace", possa fermarsi un attimo a ricordare questi ragazzi. A provare non solo dolore per degli uomini strappati alla vita in modo atroce, ma commemorarli come sarebbe piaciuto a loro. A onorarli come soldati e come uomini morti per il loro lavoro. Quando è arrivata la notizia dell'attentato, un amico pugliese mi ha chiamato immediatamente e mi ha detto: "Tutti i ragazzi morti sono nostri". Sono nostri è come per dire sono delle nostre zone. Come per Nassiriya, come per il Libano ora anche per Kabul. E che siano nostri lo dimostriamo non nella retorica delle condoglianze ma raccontando cosa significa nascere in certe terre, cosa significa partire per una missione militare, e che le loro morti non portino una sorta di pietra tombale sulla voglia di cambiare le cose. Come se sui loro cadaveri possa celebrarsi una presunta pacificazione nazionale nata dal cordoglio. No, al contrario, dobbiamo continuare a porre e porci domande, a capire perché si parte per la guerra, perché il paese decide di subire sempre tutto come se fosse indifferente a ogni dolore, assuefatto ad ogni tragedia. Queste morti ci chiedono perché tutto in Italia è sempre valutato con cinismo, sospetto, indifferenza, e persino decine e decine di morti non svegliano nessun tipo di reazione, ma solo ancora una volta apatia, sofferenza passiva, tristezza inattiva, il solito "è sempre andata così". Questi uomini del Sud, questi soldati caduti urlano alle coscienze, se ancora ne abbiamo, che le cose in questo paese non vanno bene, dicono che non va più bene che ci si accorga del Sud e di cosa vive una parte del paese solo quando paga un alto tributo di sangue come hanno fatto oggi questi sei soldati. Perché a Sud si è in guerra. Sempre.

giovedì 24 settembre 2009

Plastic 0%

Qualcuno di voi già lo sa.
Entro la fine dell'anno voglio arrivare a non usare plastica...sto cercando di finire tutti gli shampoo, bagnoschiuma, creme e cremine che ho in giro.
Ecco alcuni accorgimenti che TUTTI possiamo mettere in pratica per usare meno plastica...
  1. Andare al supermercato forniti di una busta di juta o carta o altro materiale per evitare di farsi dare ( e in molti casi pagare) dalla cassiera sei mila borse di plastica per mettere dentro la spesa.
  2. Fare attenzione a ciò che si compra: spesso i prodotti sono contenuti in imballaggi plasticosi spropositati. Un esempio: la frutta e la verdura già confezionata nelle vaschette e poi imballata nel cellophane... se la compriamo sciolta eviteremo almeno la vaschetta.
  3. Se andiamo in un negozio per acquistare qualcosa, evitiamo di farci dare la borsa di plastica se non assolutamente indispensabile.
  4. Preferire sempre i contenitori in vetro per succhi, bibite, acqua, yogurt e altri prodotti. Impariamo a riutilizzare le bottigliette d'acqua riempiendole dal rubinetto. Per chi ama l'acqua frizzante, esistono bellissime macchinette (costo 70 euro) per "gasare" l'acqua del rubinetto.
  5. Laviamoci con le saponette...ne esistono di tutti i tipi e gusti...potremo evitare di riempirci la casa di sei mila contenitori di bagnoschiuma &C.
Con l'impegno di tutti, potremo davvero arrivare a vivere con meno plasticaccia in giro...
P.S. si accettano ulteriori suggerimenti!

Ecco alcune ricette fai da te...

...per sperimentare e per ridurre la quantità di plasticaccia che compriamo!

Dentifricio fai da te: si ringrazia Margherita per avermelo fatto conoscere.

Mescolate dell'argilla bianca in 100 ml d'acqua fino ad ottenere una pappa piuttosto consistente e aggiungete una presa di sale marino e 1 cucchiaino di bicarbonato di sodio.

Poi aggiungete 1 goccia di O.E*** di salvia, 1 goccia di O.E di camomilla, 2 gocce di O.E di timo o di tea tre, e 2 gocce di O.E di cipresso (ottimo per le gengive che sanguinano).

L'argilla bianca è la più delicata di tutte le argille e di conseguenza, la più indicata ad essere usata come dentifricio. L'argilla è antisettica e antibatterica, cicatrizza e rigenera i tessuti, e gli oli essenziali donano freschezza e hanno anche loro proprietà antibatteriche e rinvigorenti. Il bicarbonato e il sale servono per sbiancare i denti.

Il prodotto può essere conservato in baratolo di vetro chiuso.

E ora passiamo al deodorante: io uso l'essenza di lavanda...si può personalizzare come meglio si desidera. Si ringrazia Martina, co-cavia!

Ingredienti:

-bicarbonato

-acqua

-olio essenziale per profumare (opzionale)


In un bicchiere mettere dell’acqua, aggiungere bicarbonato mescolando finchè non si scioglie più e lasciare riposare una mezz’oretta. Poi travasare solo la parte liquida (avremo ottenuto una soluzione satura di bicarbonato) in uno spruzzatore (magari recuperato da un vecchio deodorante finito e ben lavato). Il deodorante è pronto!



mercoledì 16 settembre 2009

giovedì 10 settembre 2009

Per i genitori e non solo...

*Lettera ai genitori sulla “Nuova Influenza”*

Cari genitori, ogni giorno parliamo della nuova influenza, e mi chiedete se sia utile e sicuro vaccinare i bambini. La mia risposta è NO! Un ‘no’ motivato e ponderato, frutto delle analisi delle conoscenze fornite dalla letteratura medica internazionale. Un ‘no’ controcorrente perché molti organismi pubblici, alcune società scientifiche e i mezzi di comunicazione trasmettono messaggi differenti: avranno le loro ragioni. Influenza stagionale e influenza A/H1N1: alcuni dati a confronto.
L’epidemia, iniziata in Messico nel 2009, è di modesta gravità: il virus A/H1N1 si è dimostrato meno aggressivo della comune influenza stagionale. Si manifesta come qualsiasi forma influenzale: febbre, mal di testa, dolori muscolari, nausea, diarrea tosse. Non sarà l’unica patologia che colpirà i bambini in questo inverno, e non sarà facile distinguerla dai circa 500 (tra tipi e sottotipi) virus capaci di infettare i bambini. I test rapidi per identificare il virus dell’influenza A hanno poca sensibilità (dal 10 al 60%). Il test quindi non garantisce con certezza se si tratti di influenza A/H1N1. Sembra però essere un virus molto contagioso, ed è stato dichiarato lo stato di pandemia. La sola parola-pandemia-fa paura. Ma questa definizione è stata appositamente modificata, facendo scomparire il criterio della gravità, cioè della mortalità che la malattia può provocare. La nuova influenza può colpire più persone, pare, ma provoca meno morti di qualunque altra influenza trascorsa. La mortalità, ossia il numero di persone morte rispetto ai casi segnalati, registrata finora nei paesi dove l’A/H1N1 è circolato ampiamente è dello 0,3% in Europa e dello 0,4% negli USA. In realtà potrebbe essere ancora inferiore. Perché generalmente i casi con sintomi lievi sfuggono alla sorveglianza (e quindi i contagiati possono essere molti di più), ed alcuni decessi possono essere dovuti ad altre cause e non al virus (anche se ad esso viene data la responsabilità). Non deve meravigliare: purtroppo si può, e si muore, di influenza, se si soffre di una patologia cronica, di una malformazione organica, di una malattia immunitaria, o se si è anziani. Le cifre variano in base alla fonte dei dati. Per esempio in Gran Bretagna sono stati registrati 30 morti su centomila casi e negli USA solo 302 su un milione di casi. Nell’inverno australe (che coincide con l’estate in Italia) in Argentina sono morte circa 350 persone, in Cile 128 ed in Nuova Zelanda 16. Quasi alla fine dell’inverno australe, sinora nel mondo intero si sono avuti 2501 decessi. Per fare un paragone, si calcola che in Spagna, durante un inverno “normale” i decessi per influenza stagionale sono circa 1500-3000. La mortalità per influenza A riguarda prevalentemente persone di età minore di 65 anni, in quanto i soggetti di età superiore sembrano avere un certo grado di protezione, a seguito di epidemie passate dovute a virus simili. Il 90% dei decessi per influenza stagionale riguarda persone sopra i 65 anni di età, l’influenza A colpisce invece prevalentemente persone di età inferiore (solo il 10% dei casi mortali si colloca nella fascia di età sopra i 65 anni). Ma, in numero assoluto, l’influenza A provoca pochi decessi tra i giovani; negli USA ogni anno muoiono per influenza stagionale circa 3600 persone sotto i 65 anni, mentre finora ne sono morte 324 nella stessa fascia di età per influenza A. In Australia ogni anno per l’influenza stagionale muoiono circa 310 persone sotto i di 65 anni. A inverno ormai terminato, ne sono morte 132 per influenza A, di cui circa 119 sotto i 65 anni. Perchè allora il panico?Quanto successo nei Paesi dell’Emisfero australe ci rassicura: l’influenza A semplicemente arriva a colpire (leggermente) molte persone. Eppure i mezzi di informazione hanno creato il panico. E’ un tipico esempio di “invenzione delle malattie” (disease mongering). Non si tratta della prima volta. Nel 2005 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva previsto fino a sette milioni di morti per l’influenza aviaria. Alla fine i morti furono 262. Si tratto’ di un gravissimo errore prognostico? Secondo una delle maggiori banche di affari del mondo (JP Morgan) l’attuale vendita di farmaci anti-influenzali e di vaccini muoverebbe un giro di oltre 10 miliardi di dollari. I medicinali funzionano?Non esiste alcun trattamento preventivo: i farmaci antivirali, Oseltamivir (Tamiflu) e Zanamivir (Relenza), non prevengono la malattia e su individui già ammalati l’azione dimostrata di questi farmaci è di poter accorciare di mezza giornata la durata dei sintomi dell’influenza. Ne’ va dimenticato che gli antivirali possono causare effetti collaterali importanti. Il 18% dei bambini in età scolare del Regno Unito, a cui è stato somministrato l’Oseltamivir contro l’A/H1N1, ha presentato sintomi neuropsichiatrici e il 40% sintomi gastroenterici. …E i vaccini?I vaccini contro il nuovo virus A/H1N1 sono ancora in fase di sperimentazione. Nessuno è in grado di sapere se e quanto saranno efficaci e sicuri, ma vengono pubblicizzati, con gran clamore. Basta che il virus cambi (per mutazione, o per riassortimento con altri virus) per rendere inefficace il vaccino già messo a punto. Sulla sicurezza sia l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che l’Agenzia del farmaco europea (EMEA) dichiarano necessaria un’attenta sorveglianza. Alcuni vaccini sono allestiti con tecnologie nuove e saranno testati su poche centinaia di bambini e adulti volontari, e soltanto per pochi giorni. Il vaccino che meglio conosciamo, quello contro l’influenza stagionale, sappiamo che ha un’efficacia del 33% tra bambini e adolescenti e che è assolutamente inutile nei minori di due anni. Esistono anche dubbi circa la sua efficacia negli adulti e negli anziani. Non conosciamo la sicurezza del vaccino per l’influenza A, ma ricordiamo che nel 1976 negli USA fu prodotto un vaccino simile, anche allora con una gran fretta per un pericolo di pandemia, ed il risultato fu un’epidemia di reazioni avverse gravi (sindrome di Guillan-Barrè, una malattia neurologica), per cui la campagna di vaccinazione fu subito sospesa. La fretta non è mai utile, tanto più per fermare un’influenza come quella A, la cui mortalità è così bassa. Conviene non ripetere l’errore del 1976. Un’altra motivazione a favore della vaccinazione è il cercare di ridurre la circolazione del virus A/H1N1 per diminuire le opportunità di ricombinazione con altri sottotipi. Ma attualmente non esistono strumenti o modelli teorici per prevedere una eventuale evoluzione pericolosa del virus. Sul piano teorico, proprio la vaccinazione di massa potrebbe indurre il virus a mutare in una forma più aggressiva. Come curarsi?Per curare l’influenza A occorrono: riposo, una buona idratazione, una alimentazione adeguata, una igiene corretta. Non si deve tossire davanti agli altri senza riparare naso e bocca, bisogna evitare di toccarsi il naso, la bocca, gli occhi, facili vie di accesso dei virus, occorre lavarsi le mani spesso ed accuratamente con acqua e sapone. Non è dimostrato che l’uso di mascherine serva a limitare la propagazione dell’epidemia. Se decidete comunque per la vaccinazione, vi verrà richiesto di firmare il “consenso informato”, una informativa sui rischi. Leggetelo bene, prima di decidere, chiedete informazioni scritte sui benefici e i rischi. Chiedete e chiediamo insieme, per tutti i vaccinati, che sia attivato un programma di sorveglianza attivo, capace davvero di registrare e trattare i gravi problemi di salute che possono presentarsi dopo la vaccinazione. Chiedete e chiediamo che si prevedano risorse economiche per l’indennizzo ai danneggiati. Chiediamo di non speculare sulla salute e sulla paura.
Dott. Eugenio Serravalle, Specialista in Pediatria Preventiva, Puericultura-Patologia Neonatale

mercoledì 9 settembre 2009

Da "La Repubblica" di Stefania Parmeggiani

Il 12 settembre la prima giornata internazionale "contro" le buste della spesa. Le iniziative degli ambientalisti e dei comuni italiani per metterle al bando prima del 2011.

ROMA - Si gonfiano e danzano, pieni di acqua e sospinti dalle correnti. Sembrano meduse e le tartarughe li ingoiano. Muoiono soffocate. Vengono usati per venti minuti, ma poi l'ambiente per distruggerli impiega 400 anni. Nessun equilibrio tra tempo d'uso e tempo di vita. Gli italiani non riescono a farne a meno, ne producono tra i 10 e i 15 miliardi l'anno, immettendo nell'atmosfera qualcosa come 400 mila tonnellate di anidride carbonica. Sono il simbolo del superfluo, di una società che acquista, consuma e distrugge. Sono i sacchetti di plastica, le shopper usa-e-getta condannate a morire da una direttiva europea, poi ripresa dalla Finanziaria 2007, il primo gennaio 2010. Nel nostro Paese, grazie al "decreto milleproroghe", la sentenza è stata rinviata di un anno. Dodici mesi in più mettere al bando "i sacchi non biodegradabili per l'asporto delle merci", le vecchie borse di polietilene. Molti credono che la rivoluzione verde tarderà ad arrivare. I produttori e i commercianti accampano scuse, i consumatori neanche quelle: sono così pratiche e comode che farne a meno resta un buon proposito, ma almeno per un giorno - un giorno soltanto - si può fare una cortesia all'ambiente. Non sia mai che qualcuno si accorga di quanto siano superflue le sporte di plastica e decida di rinunciarvi anche per il resto della settimana e dell'anno. Quel giorno è il 12 settembre, prima giornata internazionale senza i sacchetti di plastica.

L'ha promossa il Marine Conservation Society (MCS), società inglese no-profit dedicata alla conservazione dell'ecosistema marino. E ha raccolto ovunque l'adesione convinta degli ambientalisti. In Italia l'associazione dei Comuni virtuosi rilancia con la campagna "Porta la Sporta", ispirata al movimento inglese "Plasticbag Free Cities": invitano le amministrazioni a mettere al bando i sacchetti di plastica, coinvolgono le scuole e i bambini in progetti di riciclo e girano le piazze per insegnare a fare divertenti sportine di tela, da tenere con sé e tirare fuori alla cassa del supermercato. I blogger passano parola e sponsorizzano più che i sacchetti biodegradabili - sul cui smaltimento in tempi rapidi è battaglia di brevetti e studi - le vecchie sacche di tela o di juta, da ripiegare e portarsi appresso. Torino ha deciso di non aspettare il Governo e giocando in anticipo cerca di coinvolgere quanti più commercianti possibili per metterle al bando. A Firenze la Unicoop le ha eliminate dai suoi 98 punti vendita. La Coop Adriatica invece già dallo scorso 7 settembre ha eleminato le buste di plastica da tutti i suoi 151 negozi. Al loro posto, alternative a basso impatto ambientale. All'estero hanno già adottato iniziative analoghe: negli Stati Uniti la prima città a vietarne l'uso nei supermercati e nelle farmacie è stata San Francisco; in Gran Bretagna ha cominciato il piccolo comune di Modbury, imitato tra gli altri da Londra. Altri hanno introdotto una tassazione aggiuntiva per chi decide di utilizzarli, qualche centesimo in più da pagare alla cassa del supermercato. Anche la Cina ha detto addio alle shopper: ne produceva tre miliardi al giorno. L'Italia è in ritardo, ma recuperare è possibile: il 12 settembre è il giorno giusto per dare il proprio contributo.

martedì 8 settembre 2009

Preghiera di un bimbo di strada

Ciao Signore,
sono un bambino di strada, ti ricordi di me?
Non ho un volto, né un nome, non valgo nulla!
Ti aspetto Signore Buon Pastore,
per buttarmi tra le tue braccia
e raccontarti le mie pene e i miei dolori.
Signore, dicesti: “Chiedi e ti sarà dato,
bussa e ti sarà aperto”.
Ma nessuno apre, nessuno mi offre.
Signore, tu dicesti: “Lasciate che i bambini vengano a me,
non glielo impedite”.
Violenza, schiavitù, traffico di organi… chi lo impedisce?
Hai gridato: Talita Kum: fanciulla… fanciullo, alzati!
Ma come posso alzarmi se non mi dai la mano?
Ma nonostante tutto Signore, ti chiedo:
Perdona chi permette che viva al freddo, affamato, infermo, nudo.
Perdona chi ha le risorse ma non le mette in comune.
Padre, perdona tutti quelli che non rispondono al grido dei bambini della strada.
Amen.

giovedì 3 settembre 2009

Dedicata dalla cantante a Bush, riciclabile in diverse altre occasioni...

Look inside
Look inside your tiny mind
Now look a bit harder
Cause we’re so uninspired,
so sick and tired of all the hatred you harbor

Oggi mi è venuta in mente l'alfa privativa...

asociale
analfabeta
asessuale
apolitico
analcolico
apatico
atipico
anormale
amorale
atonale

...che carina l'alfa privativa.