giovedì 9 luglio 2009

Il colore del cuore

Quando penso alla «mia Africa», l’Africa della posta del cuore, penso alla lettera di un laureando della facoltà di medicina di Perugia. All’università aveva conosciuto una studentessa dell’Africa Nera, vincitrice di una borsa di studio. E se n’era innamorato, felicemente ricambiato. Avevano preparato decine di esami insieme. Ma dopo la laurea, ormai imminente, lei sarebbe tornata a lavorare nel suo Paese e lui non sapeva cosa fare. Convincerla a rimanere in Italia? Impossibile: la ragazza voleva lavorare in un ospedale pediatrico africano. Era venuta a studiare in Italia apposta, non tornare a casa le sarebbe sembrato un tradimento. Pensa che sfortuna, scriveva lui: con tutte le ragazze che scappano dall’Africa, io sono andato a innamorarmi dell’unica che ha la voglia e i mezzi per tornarci. Il giovane medico mi esponeva i due scenari residui. Scenario A: si lasciavano. Magari non subito. Ma prima o poi la lontananza avrebbe diviso le loro strade per sempre. Scenario B: lui andava a stare in Africa con lei. Impensabile. I suoi genitori avevano fatto troppi sacrifici per vederlo sistemato. Suo padre gli avrebbe tolto il saluto e sua madre si sarebbe fatta venire come minimo l’infarto. La lettera finiva chiedendo consigli a me sul da farsi. Una responsabilità da niente. Io, che di solito rispondo alle lettere con un filo di indispensabile incoscienza, quella volta ebbi troppa paura delle conseguenze del mio giudizio e infatti me ne rimasi zitto e pensieroso.Sei mesi dopo arrivò una seconda lettera. La ragazza si era laureata ed era partita per l’Africa. Lui era ancora a Perugia. Si sentivano tutti i giorni: aveva investito in schede telefoniche l’intero «stipendio» familiare. Tornava a prospettarmi i due scenari, con le stesse parole della prima lettera. Non potevo più tirarmi indietro e così gli risposi sul giornale. Scrissi che doveva scegliere fra l’amore e la carriera. E che la scelta giusta era sempre la più coraggiosa. Avrebbe dunque dovuto chiedere a se stesso se ci voleva più coraggio a rinunciare a una donna amata o a un futuro professionale. E a vent’anni, di solito, si sceglie ancora l’amore. Non era detto che, andando in Africa, la sua storia con la ragazza sarebbe continuata a lungo. Ma i grandi amori sono lo strumento che la vita usa per inviarci dei segnali. Anche se fosse finita male, quella love story africana sarebbe comunque servita a mettere in moto il suo destino. Uno esce di casa per andare a fare due passi e poi magari finisce in pizzeria. Ma se non esce per andare a fare due passi, non andrà mai da nessuna parte, nemmeno in pizzeria. La meta iniziale di un viaggio non rappresenta il traguardo, ma lo stimolo per partire.Certo, andare a vivere in Africa non è esattamente come uscire a fare due passi. Sono trascorsi quasi nove anni e non ho più ricevuto altri aggiornamenti, perciò penso che alla fine la scelta «italiana» abbia prevalso e che al ragazzo non vada di farmelo sapere. Eppure ancora oggi, ogni volta che sento parlare di un medico italiano che si distingue in Africa per coraggio e abnegazione, penso al mio dottorino innamorato e un pezzo di cuore mi bisbiglia: scommetto che è lui.
MASSIMO GRAMELLINI

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