lunedì 31 maggio 2010

De fissazionibus post Africam (parte seconda)

La seconda fissazione di cui vorrei narrare è il cibo.

Li avremo visti mille volte in TV…bimbi magrissimi ma col pancione gonfio… in una parola sola: denutrizione.

A tutti si stringe il cuore nel vederli al tg.

Ecco, ora vorrei che immaginaste cosa si prova nel tenerli in braccio, nel guardarli negli occhi, nello stargli vicino, nel chiamarli per nome...insomma: renderli reali.

Capire che esistono davvero. Sentire nella mente quella frase che tua madre ti ha reputato mille volte quando, da piccola, non volevi mangiare il minestrone: “Lo sai che ci sono dei bambini che muoiono di fame?”.

Sì, lo so.

Ora lo so per davvero.

Che devo dire?

Q uando torni in Italia, per almeno un mese, ti senti una merda ogni volta che ti siedi a tavola. Perché non puoi fare a meno di pensare a Juma, per esempio. 8 anni 8 chili…che poi dopo un mese decidi di telefonare per sapere come sta e la suora ti dice che è morto due giorni dopo che sei partita.

Da quel giorno sono passati 9 anni.

Ieri stavo gustando il mio meraviglioso gelato novarese GROM, quando sono entrati nella gelateria una mamma e un bimbo che avrà avuto 10 anni. Ha chiesto un cono da 2 euro al cioccolato. Sono usciti e il gagno malefico ha dato una leccata al gelatone e ha guardato la mamma dicendo:” Ma fa schifo! È amaro” e la madre: “Cosa ti devo dire? Buttalo!”

E così ha fatto.

Io ho pensato a Juma, lo giuro.

Da quel giorno di nove anni fa penso a lui tutte le volte che vedo del cibo avanzato e buttato; tutte le volte che sento dire che se io avanzo e butto qualcosa a loro non cambia nulla, perché tanto non è che gli possiamo mandare ciò che sto ficcando nella monnezza.

È una questione di giustizia, di morale e di un sacco di altre cose per cui non riesco a trovare le parole giuste.

Ma se mi date della talebana, vi faccio incontrare il vostro Juma e poi ne riparliamo.

sabato 29 maggio 2010

De fissazionibus post Africam (parte prima)

Ci sono delle fissazioni psico-fisiche che dopo essere stata in Africa, nell’Africa vera, si sono impossessate di me. Ho la fortuna di avere vicino alcuni Amici che mi capiscono, che come me hanno vissuto certe cose e che cercano di vivere qui ciò che hanno imparato là.

Così mi sento meno matta o talebana quando mi vengono delle crisi di nervi.

La prima fissazione di cui vorrei narrare è l’acqua.

Per tutte le volte che vedo l’acqua lasciata aperta, le bottigliette (di plastica!) iniziate e non finite, rubinetti che gocciolano etc. etc.

Se non si soggiorna al villaggio turistico Alpitour, il problema acqua in terra africana diventa subito reale.

Anzi, diciamo pure che diventa fin da subito una sorta di persecuzione maniacale.

Se sei fortunato e sei in un posto dove nella tua casetta c’è l’acqua corrente (che poi vuol dire che sul tuo tetto c’è una tanica gigante che raccoglie la pioggia che poi viene incanalata verso il rubinetto), impari ad aprire e chiudere il rubinetto in mezzo secondo perché ad ogni apertura immagini il livello dell’acqua scendere inesorabilmente... Improvvisamente diventi capace di lavare denti, faccia e ascelle in 20 secondi netti. La doccia ovviamente è bandita: si mette l’acqua nella bacinella e ti lavi e risciacqui con 5 litri…e quando diventi veramente bravo, riesci a far ricadere l’acqua che ti sei buttato addosso nella bacinella, così da poterla usare per tirare lo sciacquone del wc…che però si usa solo di sera…perché di giorno si fa tutto fuori nella latrina, che lì l’acqua non si tira: vorrai mica sprecare 15 litri di acqua solo perché ti è scappata la cacca?

Una nota folcloristica del lavarsi con l’acqua piovana, è che quando ti risciacqui, vedi scolare tutto marrone…e allora non capisci se sei tu che eri veramente lurida, o se è l’acqua piovana che è scura di natura!

Veniamo all’acqua da bere: la pioggia finisce nel tank, dal tank si mette nella pentola, si fa bollire per 10 minuti, si lascia raffreddare, poi si filtra e si mette nelle varie bottiglie di plastica o vetro che si sono prudentemente recuperate in giro. Quindi se sei in casa il problema quasi non si pone. Ma quando si è in giro per il villaggio il discorso è un po’ diverso: loro bevono l’acqua del fiume o delle pozzanghere che per noi bianchi significa morte certa! Potresti anche sfoderare la tua bottiglietta e scolartela davanti agli occhi increduli di bambini che per la prima volta vedrebbero dell’acqua trasparente…ma mi sembra evidente che non sia il caso.

Così aspetti pazientemente di essere tornato nella tua casetta, dove al riparo da occhi indiscreti tracannerai in un solo botto tutta la bottiglietta di acqua.

E sia lodato Gesù Cristo che, anche se ti trovi in Africa, tu te lo puoi permettere.

mercoledì 26 maggio 2010

I profughi dello yacht, di Massimo Gramellini

Ai lettori che vivono con preoccupazione la crisi economica vorremmo segnalare un dramma nel dramma. Quello di Elisabetta Gregoraci, moglie di Flavio Briatore e mamma del di lui erede, Falco Nathan. «Al mio piccolo manca lo yacht», è il grido di dolore che la donna ha affidato a un settimanale. «Da quando siamo stati costretti ad abbandonare la barca, il bambino piange spesso, non è più sereno come prima». Segue un racconto dettagliato e crudele: dopo la nascita del pargolo, la famiglia Briatore è costretta ad accamparsi su uno yacht con 12 persone di equipaggio e 63 metri di parquet. Una sistemazione di fortuna, in attesa che finiscano i lavori della nuova abitazione, che sorgerà in località defilata: Montecarlo. Ma ecco sopraggiungere i finanzieri a sirene spiegate, con l’accusa di contrabbando e frode fiscale. I profughi dello yacht devono scendere a terra e riparare in un attico di Londra, dove il clima è meno mite e il pavimento neanche ondeggia.

Siamo sicuri che milioni di donne si immedesimeranno nell’incubo della signora Briatore. È tale il terrore che i loro figli possano soffrire il trauma della perdita dello yacht che hanno preferito abituarli fin da subito a condizioni di vita meno precarie: una culla ricavata nella stanzetta della nonna. Da parte nostra - oltre a offrire al piccolo Falco Nathan la più incondizionata solidarietà per i decenni a venire - ci domandiamo se la sua mamma abbia una minima percezione della realtà che la circonda. Ma forse sullo yacht si captava soltanto il Tg1.

26 maggio: San Filippo Neri


"STATE BUONI SE POTETE!"

martedì 25 maggio 2010

lunedì 24 maggio 2010


Quante cose vorrei dire
quante cose vorrei fare, cambiare
cose che non trovi scritte sul giornale
cose che nessuno dice alla televisione

(Extrasistole Io, Carlo)

martedì 18 maggio 2010

case e capanne



Oggi in treno, avevo davanti a me una coppia di distinti signori. La signora raccontava come una sua amica carissima amica avesse dato in affitto ad una famiglia di Africani un piccolo appartamento di sua proprietà. “Mi ha detto che quando sono andati via, quella casa era conciata da buttare via: i muri sporchi, i pavimenti unti, il frigorifero e il fornello in uno stato pietoso, i materassi per terra …ma quella è gente che arriva dalla capanne, come tengono i loro tuguri così fanno quando vengono a vivere qui.” Mi è venuto da ridere: per carità, posso anche credere al fatto che la casa lasciata dagli africani, fosse in uno stato pietoso…ma avrei voluto chiedere alla signora se lei fosse mai stata in uno dei tuguri che tanto credeva di conoscere.

Entrare per la prima volta in una capanna africana è qualcosa che si ricorda per tutta la vita. Io mi ricordo bene la mia prima capanna: è stata quella di Amina, una bimba di 5 anni di cui ero diventata amica e che un giorno era venuta ad aspettarmi fuori dal dispensario per farmi appunto vedere casa sua. Io ero in imbarazzo ad entrare. E non perché avessi paura di trovare frigoriferi unti, pavimenti in uno stato pietoso o materassi luridi…ma perchè sapevo che dentro avrei trovato il nulla. Ma è stato un piacevole nulla: mi sono seduta sul loro sgabellino giusto il tempo di fare due parole con la mamma della bimba che era felicissima di avermi lì. Col tempo ho scoperto quanto fosse importante per loro il fatto che si entrasse nelle loro case. Non nego che all’inizio fosse difficile accettare quel nulla senza provare imbarazzo; ma poi, come per tutte le cose africane, tutto è diventato semplice…e divertente e bello!

“Hodie, hodie!” (permesso, permesso!)

“Karibu, karibu!” (avanti, avanti!)

Rapida mossa per sfilare gli infradito di plastica e lasciarli all’esterno della capanna ( nelle capanne si entra scalzi, l’ho scoperto dopo!) , abbassamento della schiena perché le porte sono basse, qualche secondo perché gli occhi si abituino alla scarsa luce, respiro a pieni polmoni l’odore inconfondibile di queste casette…e via!

BENVENUTI NEL FANTASTICO MONDO DELLE CAPANNE!

Come sono felice che la signora del treno non entrerà mai in uno dei “tuguri”.

domenica 16 maggio 2010

Antologia di stornelli...

Fiore di maggio
Vorrei cambiare il mondo ma il coraggio
Non è che lo regalano a natale
Per ora quindi cambierò canale

Fior di cartone
Ovunque guardo vedo depressione
Ma un modo per aiutare i sofferenti
È quello d’imparare ad essere contenti

Fiore di fuori
Ne ho conosciuti di tutti i colori
Di neri gialli rossi verdi e bianchi
Nessuno stava fermo con il… funky

Fior d’allegria
Quaggiù da noi c’è la democrazia
Dove ogni cosa la puoi delegare
A me mi scappa e tu vai a cagare

sabato 15 maggio 2010

martedì 11 maggio 2010

9 maggio


Ieri non ho avuto il tempo di onorare con un semplice post Peppino Impastato, martire della nostra nazione.
Lo faccio ora.
Per non dimenticare.

domenica 9 maggio 2010

giovedì 6 maggio 2010

Preghiera dell'Ostetrica.

O Dio, amore immenso e fonte di vita, che mi scegliesti
a collaborare con Te nella missione di partecipare alla
nascita delle Tue creature, concedimi di essere sempre
promotrice di vita e mai strumento di morte.

Tu che nella visita di Maria ad Elisabetta ci hai dato
un luminoso esempio di carità, fa che mi avvicini ad
ogni mamma con purezza di intenzioni e calore di
affetto che rispecchiano i sentimenti della Tua mamma.

Donami una consapevolezza profonda della mia
responsabilità professionale, perchè sappia aiutare
anche i più piccoli e fragili a muovere i primi passi
verso la loro piena realizzazione umana.

Fa che nei momenti difficili del mio lavoro sappia
rivolgermi a Te, Autore della vita, per ottenere a me
e a coloro che hai affidato alle mie cure, la Tua grazia
e la Tua benedizione

Amen