martedì 18 maggio 2010

case e capanne



Oggi in treno, avevo davanti a me una coppia di distinti signori. La signora raccontava come una sua amica carissima amica avesse dato in affitto ad una famiglia di Africani un piccolo appartamento di sua proprietà. “Mi ha detto che quando sono andati via, quella casa era conciata da buttare via: i muri sporchi, i pavimenti unti, il frigorifero e il fornello in uno stato pietoso, i materassi per terra …ma quella è gente che arriva dalla capanne, come tengono i loro tuguri così fanno quando vengono a vivere qui.” Mi è venuto da ridere: per carità, posso anche credere al fatto che la casa lasciata dagli africani, fosse in uno stato pietoso…ma avrei voluto chiedere alla signora se lei fosse mai stata in uno dei tuguri che tanto credeva di conoscere.

Entrare per la prima volta in una capanna africana è qualcosa che si ricorda per tutta la vita. Io mi ricordo bene la mia prima capanna: è stata quella di Amina, una bimba di 5 anni di cui ero diventata amica e che un giorno era venuta ad aspettarmi fuori dal dispensario per farmi appunto vedere casa sua. Io ero in imbarazzo ad entrare. E non perché avessi paura di trovare frigoriferi unti, pavimenti in uno stato pietoso o materassi luridi…ma perchè sapevo che dentro avrei trovato il nulla. Ma è stato un piacevole nulla: mi sono seduta sul loro sgabellino giusto il tempo di fare due parole con la mamma della bimba che era felicissima di avermi lì. Col tempo ho scoperto quanto fosse importante per loro il fatto che si entrasse nelle loro case. Non nego che all’inizio fosse difficile accettare quel nulla senza provare imbarazzo; ma poi, come per tutte le cose africane, tutto è diventato semplice…e divertente e bello!

“Hodie, hodie!” (permesso, permesso!)

“Karibu, karibu!” (avanti, avanti!)

Rapida mossa per sfilare gli infradito di plastica e lasciarli all’esterno della capanna ( nelle capanne si entra scalzi, l’ho scoperto dopo!) , abbassamento della schiena perché le porte sono basse, qualche secondo perché gli occhi si abituino alla scarsa luce, respiro a pieni polmoni l’odore inconfondibile di queste casette…e via!

BENVENUTI NEL FANTASTICO MONDO DELLE CAPANNE!

Come sono felice che la signora del treno non entrerà mai in uno dei “tuguri”.

2 commenti:

Chiara ha detto...

io invece, che di lavoro faccio l'architetto e mi capita di visitare case vuote appena lasciate dai precedenti inquilini, vorrei raccontare alla signora in questione che le case lasciate libere dagli italiano non sono meglio... anzi! tanto per fare un esempio, nell'ultima in cui sono stata prima di andare via hanno sradicato il piano in marmo del caminetto e se lo son portato via... senza contare che erano stati lasciati mucchietti di roba da buttare un po' ovunque...

Folletto del Vento ha detto...

Hai ragione, fortuna che non entrerà mai in una capanna...fortuna anche sua, perchè immagino non potrebbe resisterci che per pochi minuti.
Per stare in capanna non serve chiudere gli occhi per non vedere quello che a noi potrebbe sembrare disordine, o tapparsi il naso per odori a noi non familiari, serve un cuore ed un cervello e capire che quello sgabello, per Amina è un trono.
Le capanne saranno vuote di comodità, ma piene di sentimenti veri.
Ma la Signora del treno, probabilemnte per la fretta, immagino che cervello e cuore li avesse lasciati a casa.