mercoledì 28 maggio 2008

ROM


Cara signora,
ho visto questa mattina, sulle prime pagine di molti quotidiani, una foto che La ritrae.
Accovacciata su un furgoncino aperto, scassato, uno scialle attorno alla testa.
Dietro di Lei si intravedono due bambine, una più grande, con gli occhi sbarrati, spaventati,
e l´altra, piccola, che ha invece gli occhi chiusi: immagino le sue due figlie. Accanto
a Lei la figura di un uomo, di spalle: suo marito, presumo. Nel suo volto, signora,
si legge un´espressione di imbarazzo misto a rassegnazione.
Vi stanno portando via da Ponticelli, zona orientale di Napoli, dove il campo
in cui abitavate è stato incendiato.
Sul retro di quel furgoncino male in arnese - reti da materasso a fare
da sponda - una scritta: "ferrovecchi".
Le scrivo, cara signora, per chiederLe scusa. Conosco il suo popolo, le sue storie.
Proprio di recente, nei dintorni di Torino, ho incontrato una vostra comunità: quanta sofferenza,
ma anche quanta umanità e dignità in quei volti.
Nel nostro Paese si parla tanto, da anni ormai, di sicurezza.
È un´esigenza sacrosanta, la sicurezza. Il bisogno di sicurezza ce lo abbiamo tutti,
è trasversale, appartiene a ogni essere umano, a ogni comunità, a ogni popolo. È il bisogno
di sentirci rispettati, protetti, amati. Il bisogno di vivere in pace, di incontrare disponibilità
e collaborazione nel nostro prossimo. Per tutelare questo bisogno ogni comunità, anche la vostra,
ha deciso di dotarsi di una serie di regole. Ha stabilito dei patti di convivenza, deciso
quello che era lecito fare e quello che non era lecito, perché danneggiava questo bene comune
nel quale ognuno poteva riconoscersi. Chi trasgrediva la regola veniva punito, a volte
con la perdita della libertà. Ma anche quella punizione, la peggiore per un uomo - essendo
la libertà il bene più prezioso, e voi da popolo nomade lo sapete bene - doveva servire
per reintegrare nella comunità, per riaccogliere. Il segno della civiltà è anche quello di una giustizia
che punisce il trasgressore non per vendicarsi ma per accompagnarlo, attraverso la pena,
a un cambiamento, a una crescita, a una presa di coscienza.
Da molto tempo questa concezione della sicurezza sta franando. Sta franando di fronte a
lle paure della gente. Paure provocate dall´insicurezza economica - che riguarda un numero
sempre maggiore di persone - e dalla presenza nelle nostre città di volti e storie che
l´insicurezza economica la vivono già tragicamente come povertà e sradicamento, e che hanno
dovuto lasciare i loro paesi proprio nella speranza di una vita migliore.
Cercherò, cara signora, di spiegarmi con un´immagine. È come se ci sentissimo tutti su una nave
in balia delle onde, e sapendo che il numero delle scialuppe è limitato, il rischio di affondare
ci fa percepire il nostro prossimo come un concorrente, uno che potrebbe salvarsi
al nostro posto. La reazione è allora di scacciare dalla nave quelli considerati "di troppo",
e pazienza se sono quasi sempre i più vulnerabili. La logica del capro espiatorio - alimentata
anche da un uso irresponsabile di parole e immagini, da un´informazione a volte pronta
a fomentare odi e paure - funziona così. Ci si accanisce su chi sta sotto di noi, su chi è più indifeso,
senza capire che questa è una logica suicida che potrebbe trasformare noi stessi un giorno in vittime.
Vivo con grande preoccupazione questo stato di cose. La storia ci ha insegnato che dalla legittima
persecuzione del reato si può facilmente passare, se viene meno la giustizia e la razionalità,
alla criminalizzazione del popolo, della condizione esistenziale, dell´idea: ebrei, omosessuali,
nomadi, dissidenti politici l´hanno provato sulla loro pelle.
Lo ripeto, non si tratta di "giustificare" il crimine, ma di avere il coraggio di riconoscere
che chi vive ai margini, senza opportunità, è più incline a commettere reati rispetto a chi invece è integrato.
E di non dimenticare quelle forme molto diffuse d´illegalità che non suscitano
uguale allarme sociale perché "depenalizzate" nelle coscienze di chi le pratica, frutto di un
individualismo insofferente ormai a regole e limiti di sorta. Infine di fare attenzione
a tutti gli interessi in gioco: la lotta al crimine, quando scivola nella demagogia e nella semplificazione,
in certi territori può trovare sostenitori perfino in esponenti della criminalità organizzata,
che distolgono così l´attenzione delle forze dell´ordine e continuano più indisturbati nei loro affari.
Vorrei però anche darLe un segno di speranza. Mi creda, sono tante le persone che ogni giorno,
nel "sociale", nella politica, nella amministrazione delle città, si sporcano le mani.
Tanti i gruppi e le associazioni che con fatica e determinazione cercano di dimostrare che
un´altra sicurezza è possibile. Che dove si costruisce accoglienza, dove le persone si
sentono riconosciute, per ciò stesso vogliono assumersi doveri e responsabilità,
vogliono partecipare da cittadini alla vita comune.
La legalità, che è necessaria, deve fondarsi sulla prossimità e sulla giustizia sociale.
Chiedere agli altri di rispettare una legge senza averli messi prima in condizione di diventare cittadini,
è prendere in giro gli altri e noi stessi. E il ventilato proposito di istituire
un "reato d´immigrazione clandestina" nasce proprio da questo mix di cinismo e ipocrisia:
invece di limitare la clandestinità la aumenterà, aumentando di conseguenza sofferenza,
tendenza a delinquere, paure.
Un´ultima cosa vorrei dirLe, cara signora. Mi auguro che questa foto che La ritrae insieme
ai Suoi cari possa scuotere almeno un po´ le nostre coscienze. Servire a guardarci dentro
e chiederci se davvero questa è la direzione in cui vogliamo andare. Stimolare quei
sentimenti di attenzione, sollecitudine, immedesimazione, che molti italiani, mi creda - anche
per essere stati figli e nipoti di migranti - continuano a nutrire.
La abbraccio, dovunque Lei sia in questo momento, con Suo marito e le Sue bambine. E mi permetto
di dirLe che lo faccio anche a nome dei tanti che credono e s´impegnano per un mondo
più giusto e più umano.

Don Luigi Ciotti
Presidente del «Gruppo Abele» e di «Libera - associazioni, nomi e numeri contro le mafie»

4 commenti:

Anonimo ha detto...

E dunque?
Bla bla bla, bla bla bla, bla bla bla.
E ovviamete il cuore del problema non viene affrontanto neppure minimamente.
Per tornare alla similitudine usata da Don Ciotti: o si aumentano le scialuppe di salvataggio o si stabilisce un numero massimo di passeggeri.
Si dica con chiarezza quale delle due strade si vuole seguire e su chi far ricadere la scelta.

Marco (questo lo firmo direttamente)

Anonimo ha detto...

Stiamo pagando gli errori di un buonismo generalizzato. Da subito andava garantito ogni diritto a chi realmente era "ultimo" mentre ci voleva fermezza nei confronti di chi, approfittando della situazione, espatriava per delinquere o per vivere di espedienti. Oggi la situazione sarebbe ben diversa, molti sarebbero più disposti ad accogliere e ci sarebbe meno paura dello "straniero". A ponticelli, molto probabilmente, il fuoco ai campi nomadi non l'ha appiccato la popolazione civile e nemmeno pochi estremisti...

Anonimo ha detto...

ridicolazzare con un bla bla bla le parole di don Ciotti mi sembra eccessivo.
L'articolo non voleva dare una soluzione, ma far notare che incendiare le case delgi altri (chiunque sia l'altro) non pare di certo la soluzione migliore.
anna

Anonimo ha detto...

Anna,

"bla bla bla, bla bla bla, bla bla bla", nel mio intento, aveva solo un intento onomatopeico. Volevo unicamente rappresentare ciò che le parole di Don Ciotti mi paiono: suoni vuoti, significanti senza significato.
Ciò che, del resto, mi sono limitato ad osservare è proprio che tali parole non colgono il problema e non propongono una soluzione.
Questo tipo di posizioni, peraltro, mi sembra estremamente pericoloso poichè, si sa, "la gente" non è in grado di trovare da sola la strada giusta.
Se così non fosse, vivremmo tutti felici nell'anarchia più completa e tutti questi problemi non esisterebbero.

Marco